25 Giugno 2019
Taipei - Seoul, 2 ore e mezza di volo. Nonostante il freddo gelido nella cabina, la copertina blu China Airlines mi ha permesso di crollare in un vero sonno ristoratore di due ore. Vitale, viste le undici ore insonne del volo precedente, sommate a quelle della rovente notte romana.
Mi sveglio a venti minuti dall’atterraggio, ma solo fuori dall’aereo mi rendo conto di essere in paradiso: l’emozione di vedere i caratteri coreani nel loro habitat naturale; l’eccitazione di vedere i coreani nel loro habitat naturale. Non la Korea Town ad Osaka, compressa dall’asfissiante formalità degli hiragana giapponesi, che con un falso sorriso strozzavano i chioschi coreani in un ghetto chiuso. No. Ora sono i Coreani a comandare. Belli come il sole, magari sì, anche loro falsi, ma solo esteticamente. Preferisco una donna coreana col naso e il seno rifatto, ma forte e schietta di carattere, piuttosto che una giapponese bella di natura ma che non mi regala altro che sorrisi di circostanza. “Hihihihi” ma che cazzo ti ridi!!!
Sono l’unico passeggero del pullman che parte dall’aeroporto di Incheon diretto a Kkachisan. Anche in Corea, come in Giappone, si prendono cura efficientemente dei clienti: l’addetto ai bagagli non vuole nessun aiuto nel pormi le valigie nella pancia del pullman, e l’autista mi intima di allacciare le cinture.
Dall’aeroporto alla città è solo un susseguirsi di ponti e strade che scavalcano o costeggiano il mare. I pini di montagna, quelli che in Italia vediamo solo oltre i mille metri, qui abbondano sulle morbide isolette che affollano la costa. Una bandiera della Corea del Sud sventola impazzita accanto all’autostrada, mentre il display nel pullman mostra donne lisce con in mano una crema idratante.
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