martedì 14 maggio 2019

진서

Sulla tovaglia a quadri sono ancora calde le posate, i bicchieri, i piatti e i rimasugli del pranzo appena finito; ma in cucina non è rimasto più nessuno, a parte me e Jin. Lei è di fronte ai fornelli, concentrata sul movimento dello straccio azzurro nelle sue mani: probabilmente sta cercando il modo più efficiente per eliminare l’unto agli angoli delle griglie.
Quanto cazzo è bella.  Anche con addosso quella camiciona di lana azzurra a quadri marroni, in stile boscaiolo del Wyoming. 
Mi alzo dalla sedia e le vado incontro, con l’unico intento di spalmarmi sulla sua schiena lì, drittissima, a soli tre passi da me... a due... a uno... finché... non avverto il suo profumo agli agrumi, che con un secco “Eh no no, dove vai!?” mi afferra per il guinzaglio e riconsegna al mio padrone Impaccio.

“Che fai lì dietro di me?”
“Dammi lo straccio, finisco io di pulire...”

Quando si gira verso di me il suo sorriso è già pieno... me lo regala per altri due secondi, prima di passarmi lo straccio e sedersi sulla stessa sedia dove stavo io pochi attimi fa. 
Che bello il suo sorriso, lo amo. La amo.
Sciacquo lo straccio; poi lo allungo; lo strizzo; lo espando sul piano cottura... faccio ogni gesto con la stessa passione e dedizione di un artigiano del sushi di novant’anni. : la presenza di Jin.

Nostra cugina è venuta a trovarci da Seoul, ed ora è nel soggiorno con mamma e zia a far rumore di fondo. Susan invece è col ragazzo nella nostra stanza... che cazzo c’entra quella con la nostra famiglia... bah... vabbè, basta ignorarla. 
Ho finito di pulire; mi giro, ma Jin non c’è più... mi lavo le mani, mi asciugo di fretta sul pantalone ed esco dalla cucina per cercarla: non vorrei fosse uscita fuori, da sola senza di me... o peggio, con quel cacacazzo di Kyung-So... ah. No. Falso allarme. È seduta sulla poltrona, in fondo, in silenzio. Ascolta le civettanze delle altre donne in soggiorno, senza interagire, ma appena mi vede ravviva gli occhi e con la mano mi fa cenno di sedermi accanto a lei. La poltrona ha posto per una sola persona, e questo ci impone amabilmente di stringerci, di toccarci.

“Devo dirti una cosa, vieni vicino...”

Jin mi sta chiedendo di avvicinarmi, ma io non reagisco: non so come potremmo fisicamente essere più vicini di così... ah... sì, mi dimostra che in effetti un modo c’è: appoggia il suo viso sul mio, provocando fatalmente una veloce serie di esplosioni nel mio cuore... il sangue che mi cola tra gli organi mi rende caldo, ovunque. Come la sua pelle, morbida.

- Lo sai che a Seoul non si possono usare le carte prepagate per fare la spesa?... -

La voce di Jin è bassa e sottile, e la sua guancia, schiacciata quanto più possibile contro la mia, è ormai rossa. Sembra voglia rendere più intima possibile la nostra conversazione.

- ... quando sono andato a trovare Je, ho dovuto pagare tutto in contanti! -

- Davvero non si possono usare le prepagate? E le carte di credito? -

- Sì, quelle sì! -

Vorrei che questa conversazione non finisse mai. L’odore della sua pelle, ormai nei miei alveoli più profondi, inizia a narcotizzarmi più di un grammo di eroina diluita con benzene e batteria esausta di automobili. Solo grazie a questo, finalmente sciolto, prendo coraggio e appoggio la mano sulla sua... e sorrido, ebete; lei ricambia, stringendomela forte. E sono felice.

- Ma che fate! - 
Nostra cugina Je inizia a bisbigliare verso di noi, imbarazzata. - Jin, staccati da tuo fratello, prima che vostra madre vi veda in questa posizione... più che ambigua... ma che vi salta in mente!? -

Io sono innamorato di Jin. E non mi importa un cazzo se lei è mia sorella maggiore.



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