lunedì 22 aprile 2019

餐厅 ristorante cinese (parte 4)

Hiro, così come la prima colazione, così come la seconda colazione, anche la terza colazione la mangiò da qualche parte nel centro di Kunming insieme a Karina. E prima di quelle, anche le notti, le aveva mangiate insieme a Karina. Insomma, avevo pernottato in una doppia devoluta per metà in beneficenza da Hiro.
Per colazione la taverna di Yan Yan proponeva pancake con carne secca a scaglie e 包子 baozi con verdure. Oltre all’immancabile zuppa di riso, che a priori, forte della mia non invidiabile competenza, mi rifiutavo di ordinare. 
Quell’ultima mattina, forse perché già oltre l’orario di colazione, ero l’unico seduto dentro al locale. Yan Yan si sedette di fronte a me, incrociando le gambe sulle mie.

- Sorry for my legs on you. -
- It’s perfettamente ok. -
- So... today you leave. You go far away to Osaka. -

- ... succede di nuovo... -
Pensai. E piansi. Due secondi, poi mi rimisi in ordine. 

- Why you leave... -
- ... come with me to Japan. Ok not now, but, I don’t know... next month, June, July, September... -
- ... you know I can’t. But you can. Go there and pack all your life back here. Stay here. -
- ... how? -
- There’s a way, always. You remember? We were in the hole of your bed... you told me that you were happy... and the only important thing for you is to be happy, just that. Is that true? -
- Yes, it’s the truth. -
- Ok. That’s the way. -






lunedì 15 aprile 2019

餐厅 ristorante cinese (parte 3)

- ...how come... It’s like, I feel like we have known each other for so long... -
- Wo bu zhi dao. I just know that I like you. -

Il materasso era morbido, forse troppo. Non era di certo l’ultimo modello ortopedico... eppure, proprio grazie a questo, i nostri corpi erano riusciti a creare un solco nel centro esatto del letto, dentro cui il contatto narcotizzante con la sua pelle era inevitabile.

- You are so beautiful...-
- ... you lie...-

Yan Yan era nel mio letto. Ma nonostante ciò, io, di questa ragazza, sapevo poco più che niente... iniziai addirittura a dubitare se davvero, in quel momento, lei fosse lì con me; o se io fossi lì con lei, e con quel quadro di natura bucolica di fronte a noi. Da piccolo fissavo spesso le campagne tristi e spente appese sulle pareti di casa, annoiato, quando non avevo amici con cui uscire a giocare. Che malinconia quei momenti. Ora invece... lo avrei fissato per mesi... sempre lì, immobile, stesi. 

- Let’s go to live together in that abandoned farmhouse? -

Avrei voluto dirle.

- Stay here forever in Kunming. -

Mi disse lei. Yan Yan. Che con quel sorrisetto furbo, in tre secondi, mi aveva capovolto e svuotato la scatola cranica, fin lì colma solo di inutili razionalismi.

- Yes. Ok. -

Risposi di sì, e fu una risposta sincera. In quegli istanti, premuto sul suo petto, riscoprii che l’unica cosa che mi importava era esser felice... il resto erano solo accessori.




domenica 14 aprile 2019

餐厅 ristorante cinese (parte 2)

Hiro, grazie al tinder cinese, prima della partenza aveva già programmato un appuntamento con Karina, professoressa di Hong Kong trasferita a Kunming per lavoro. Prendemmo tutti e tre insieme una buona birra artigianale cinese in un english/china fusion pub, dopodiché li abbandonai ai loro caldi destini per ritornare nella silenziosa via Ancona, dove alle 22:30 avrei dovuto incontrare Yan Yan.

- Yes sure I wanna meet you. I’ve never hung out with a western guy. When we meet... please forgive my bad English. -

Yan yan mi veniva incontro, e il cuore mi trapanava la cassa toracica. Indossava una T-shirt bianca con una scritta rossa, nascosta per tre quarti da un gilet nero. Nonostante non fosse alta, il suo fisico magro le sfilava l’intera silhouette.

- I brought two bottles of beer. Let’s go to your hotel. -

Quando le dissi che Hiro non sarebbe ritornato prima dell’alba, convenne con me sul fatto che un letto matrimoniale sarebbe stato più comodo del divano di pelle secca della hall dell’albergo.

Yan Yan aveva una laurea in storia cinese, ma non aveva mai smesso di aiutare la famiglia a sostenere il proprio unico reddito. Forse l’anno dopo si sarebbe dedicata a tempo pieno all’insegnamento... ma ancora non lo sapeva; o meglio, ancora non aveva trovato il coraggio di dire al padre che non avrebbe mai sposato Mankou, il figlio del ricco proprietario della pomposa catena di ristoranti “fiori rossi felici”. Yan Yan era uno spirito libero. Avrebbe voluto andare in Taiwan, dove tutto le sembrava più libero, e magari uscire con uno dei tanti americani che vivono lì a Taipei, scoprendo una volta per tutte se i film romantici di Hollywood si basassero sulla realtà, o erano solo finzione.

Alle 23:30 le due birre da 66cl erano piene a metà. Yan Yan mi fissava con occhi audaci. Nonostante il mio carattere introverso, da quando c’eravamo incontrati ero sempre stato messo al centro dell’attenzione: era concentrata su ogni parola che usciva dalla mia bocca, fino ad annusarle, ora, una per una. Finchè... un battito del mio stomaco, già consapevole di cosa sarebbe successo, non mi scosse smodato verso le sue labbra, già pronte a baciarmi.



餐厅 ristorante cinese

Approfittando del lungo ponte di inizio maggio, io ed Hiro organizzammo un viaggio a 昆明市 Kunming, capitale della provincia dello 云南省 Yunnan. Nonostante le 6 ore di volo, la compagnia aerea Shandong airlines ci offrì gentilmente due biglietti andata e ritorno da Osaka a 228 euro ciascuno. Miss Li una volta ci aveva detto che Kunming era sede della primavera eterna, per via del clima temperato in qualunque mese dell’anno, e dei fiori sugli alberi ai lati delle carreggiate. E delle belle universitarie. Tanto era bastato ad Hiro per sceglierla come destinazione. Io invece ero stato attratto esclusivamente dal nome... il Kun accanto al Ming.

Avevamo prenotato una stanza con letto matrimoniale per l’equivalente di 20 euro al giorno, dunque 60 euro in tutto. Quando arrivammo nella via dell’albergo, 按空路 via Ankong, o Ancona, mi sorpresi appassionatamente per il fatto che non avesse per niente i tratti tipici della modernità cinese: palazzoni beige o grigi e insegne tozze sui negozi. Al contrario, la strada ricordava la litoranea di uno dei tanti paesini che affaccia sull’Adriatico, nonostante il mare disti almeno 300km da Kunming. Una lunga schiera di quadrati bassi e giallognoli, con stonanti tetti legno Cortina d’Ampezzo, chiudeva da un lato la via come un lungo serpentone; l’altro lato invece sfociava su un campo d’erba sporca, che proseguiva libero per km e km fino alla massa scomposta di alcuni palazzoni.

Erano le 15:00. Accanto all’hotel, oltre una discesa ruvida di cemento e urina di gatto, c’era un muretto e una palazzina di un piano e mezzo. Sulla sua facciata, accanto al portone, una grossa lanterna rossa appesa ci pregò di entrare in una tavola calda specializzata in 拉面 noodles. I tavolini all’interno erano tutti rotondi e pesanti come il legno scuro nella campagna di mia nonna, e Hiro, senza consultare i tre e unti fogli del menù, optò per un Ramen con brodo denso in stile giapponese. Io presi dei noodles con wan ton “Beijing style”.

- Shachō san, la cameriera non fa altro che guardarti. -

I quindici coperti della tavola calda erano presidiati da una giovane e vispa cameriera. Non indossava nessuna uniforme, ma solo una T-shirt nera e un pantalone nero, amplificando in questo modo la veste informale e familiare del locale. I suoi capelli erano neri e lunghi, legati a formare una cipolla disordinata; il viso era più scuro della media cinese, così come le labbra, che assumevano una tonalità sangria.

- Hello! Are you tourists? -

Le sue mandorle erano strette e saporite. Ma quando parlava, dagli occhi le usciva la stessa vitalità di un ragù che ribolle a fuoco lento. Hiro le rispose in cinese, ma lei non mi staccava lo sguardo di dosso. Per vincere l’imbarazzo le chiesi il nome, Yan Yan; lei ricambiò, Vitto.
I manicaretti erano intensi e corposi, e addirittura anche il coriandolo, in mezzo a quell’idillio di grano e brodo, sembrava squisito.

- Se non le chiedi il contatto, non ci muoviamo da qui. -
- Ma mi vergogno... -
- Yan Yan, the check please. And... he would like to ask for your wechat. -

Yan Yan abitava al primo piano sopra la tavola calda. Ogni giorno alle 21:45 il suo locale chiudeva la cucina, e alle 22:00 serrava le porte. Quella sera, mezzora dopo la chiusura, io ero già da dieci minuti seduto sul muretto; Yan Yan uscì dal portone del suo palazzo e mi venne incontro.