Sulla tovaglia a quadri sono ancora calde le posate, i bicchieri, i piatti e i rimasugli del pranzo appena finito; ma in cucina non è rimasto più nessuno, a parte me e Jin. Lei è di fronte ai fornelli, concentrata sul movimento dello straccio azzurro nelle sue mani: probabilmente sta cercando il modo più efficiente per eliminare l’unto agli angoli delle griglie.
Quanto cazzo è bella. Anche con addosso quella camiciona di lana azzurra a quadri marroni, in stile boscaiolo del Wyoming.
Mi alzo dalla sedia e le vado incontro, con l’unico intento di spalmarmi sulla sua schiena lì, drittissima, a soli tre passi da me... a due... a uno... finché... non avverto il suo profumo agli agrumi, che con un secco “Eh no no, dove vai!?” mi afferra per il guinzaglio e riconsegna al mio padrone Impaccio.
“Che fai lì dietro di me?”
“Dammi lo straccio, finisco io di pulire...”
Quando si gira verso di me il suo sorriso è già pieno... me lo regala per altri due secondi, prima di passarmi lo straccio e sedersi sulla stessa sedia dove stavo io pochi attimi fa.
Che bello il suo sorriso, lo amo. La amo.
Sciacquo lo straccio; poi lo allungo; lo strizzo; lo espando sul piano cottura... faccio ogni gesto con la stessa passione e dedizione di un artigiano del sushi di novant’anni. : la presenza di Jin.
Nostra cugina è venuta a trovarci da Seoul, ed ora è nel soggiorno con mamma e zia a far rumore di fondo. Susan invece è col ragazzo nella nostra stanza... che cazzo c’entra quella con la nostra famiglia... bah... vabbè, basta ignorarla.
Ho finito di pulire; mi giro, ma Jin non c’è più... mi lavo le mani, mi asciugo di fretta sul pantalone ed esco dalla cucina per cercarla: non vorrei fosse uscita fuori, da sola senza di me... o peggio, con quel cacacazzo di Kyung-So... ah. No. Falso allarme. È seduta sulla poltrona, in fondo, in silenzio. Ascolta le civettanze delle altre donne in soggiorno, senza interagire, ma appena mi vede ravviva gli occhi e con la mano mi fa cenno di sedermi accanto a lei. La poltrona ha posto per una sola persona, e questo ci impone amabilmente di stringerci, di toccarci.
“Devo dirti una cosa, vieni vicino...”
Jin mi sta chiedendo di avvicinarmi, ma io non reagisco: non so come potremmo fisicamente essere più vicini di così... ah... sì, mi dimostra che in effetti un modo c’è: appoggia il suo viso sul mio, provocando fatalmente una veloce serie di esplosioni nel mio cuore... il sangue che mi cola tra gli organi mi rende caldo, ovunque. Come la sua pelle, morbida.
- Lo sai che a Seoul non si possono usare le carte prepagate per fare la spesa?... -
La voce di Jin è bassa e sottile, e la sua guancia, schiacciata quanto più possibile contro la mia, è ormai rossa. Sembra voglia rendere più intima possibile la nostra conversazione.
- ... quando sono andato a trovare Je, ho dovuto pagare tutto in contanti! -
- Davvero non si possono usare le prepagate? E le carte di credito? -
- Sì, quelle sì! -
Vorrei che questa conversazione non finisse mai. L’odore della sua pelle, ormai nei miei alveoli più profondi, inizia a narcotizzarmi più di un grammo di eroina diluita con benzene e batteria esausta di automobili. Solo grazie a questo, finalmente sciolto, prendo coraggio e appoggio la mano sulla sua... e sorrido, ebete; lei ricambia, stringendomela forte. E sono felice.
- Ma che fate! -
Nostra cugina Je inizia a bisbigliare verso di noi, imbarazzata. - Jin, staccati da tuo fratello, prima che vostra madre vi veda in questa posizione... più che ambigua... ma che vi salta in mente!? -
Io sono innamorato di Jin. E non mi importa un cazzo se lei è mia sorella maggiore.
martedì 14 maggio 2019
sabato 4 maggio 2019
苏州工业园区启月街1号
4 Maggio 2014. 02:00
Unforgettable
- Do you remember who said that? -
- Yes. Was me, in your hug. -
Perché sentiamo il bisogno di abbracciare? Forse perché abbiamo bisogno di lasciarci andare. Di sfilare la pesante armatura della ragione, della diffidenza, e affidarci a qualcun altro. Di non sentirci più soli, e trasmettere le proprie emozioni ad un altro in maniera diretta, come il contatto tra i due corpi: i petti si toccano, e se hai pazienza puoi sentire il tuo cuore battere sull’altro corpo; e se ne hai ancora, i sentimenti cominceranno a congiungersi.
Io libero il mio sentimento sul tuo corpo esile, espiro la mia solitudine, la mia tristezza... e in cambio inspiro energia pulita, le tue spalle fragili e lisce, che mi riempie il diaframma. Gli organi trovano la perfetta armonia, i sensi si riequilibrano, e di riflesso inizio a ridere come un ebete: l’energia emessa dopo la fusione tra due atomi.
Sei piccola nel mio abbraccio, riesco a toccare tutta la tua pelle morbida.
- I want your hug. -
Perché se una cosa ci fa stare bene, vogliamo continuare ad averla. Ci alziamo, ogni giorno, lavoriamo, o studiamo, prendiamo la bici, o un aereo, bestemmiamo, solo per continuare ad ottenere la nostra droga, che ci fa stare bene.
- Maybe is better if you don’t sleep here tonight... I’m afraid that you lose your flight tomorrow morning... -
- Yes, maybe you’re right. -
Ricordo solo che la sua stanza è buia, e anche il balcone, dove lei sta recuperando l’uniforme da lavoro che indosserà domani. Poi ho un vuoto... finché non usciamo fuori dal portone e camminiamo nel giardinetto sotto casa sua, sulle stesse mattonelle rosse sbiadite già raccontate in precedenza. Arriviamo al Family Mart, dove compro del caffelatte e pancarrè ai fagioli rossi: il titolo di uno dei capitoli del mio ultimo romanzo, quello in cui i due protagonisti si svegliano per l’ultima volta insieme. Ho ancora nel portafoglio lo scontrino, ormai completamente sbiadito.
Lo stradone periferico è vuoto e silenzioso. Nessun taxi in vista, e io rischio di non arrivare in tempo in albergo e quindi in aeroporto. Sarebbe stato fantastico.
- See that building... how many windows... いっぱい!!-
Tenta di sfoggiare il suo giapponese arrugginito, e ride.
Oh. È arrivato il momento dell’ultimo abbraccio. Il tassista si sporge dal finestrino: vuole vederci meglio mentre ci baciamo.
4 Maggio 2014. 08:50
Piove.
- I just arrive company, raining! It must because you leaving... -
Unforgettable
- Do you remember who said that? -
- Yes. Was me, in your hug. -
Perché sentiamo il bisogno di abbracciare? Forse perché abbiamo bisogno di lasciarci andare. Di sfilare la pesante armatura della ragione, della diffidenza, e affidarci a qualcun altro. Di non sentirci più soli, e trasmettere le proprie emozioni ad un altro in maniera diretta, come il contatto tra i due corpi: i petti si toccano, e se hai pazienza puoi sentire il tuo cuore battere sull’altro corpo; e se ne hai ancora, i sentimenti cominceranno a congiungersi.
Io libero il mio sentimento sul tuo corpo esile, espiro la mia solitudine, la mia tristezza... e in cambio inspiro energia pulita, le tue spalle fragili e lisce, che mi riempie il diaframma. Gli organi trovano la perfetta armonia, i sensi si riequilibrano, e di riflesso inizio a ridere come un ebete: l’energia emessa dopo la fusione tra due atomi.
Sei piccola nel mio abbraccio, riesco a toccare tutta la tua pelle morbida.
- I want your hug. -
Perché se una cosa ci fa stare bene, vogliamo continuare ad averla. Ci alziamo, ogni giorno, lavoriamo, o studiamo, prendiamo la bici, o un aereo, bestemmiamo, solo per continuare ad ottenere la nostra droga, che ci fa stare bene.
- Maybe is better if you don’t sleep here tonight... I’m afraid that you lose your flight tomorrow morning... -
- Yes, maybe you’re right. -
Ricordo solo che la sua stanza è buia, e anche il balcone, dove lei sta recuperando l’uniforme da lavoro che indosserà domani. Poi ho un vuoto... finché non usciamo fuori dal portone e camminiamo nel giardinetto sotto casa sua, sulle stesse mattonelle rosse sbiadite già raccontate in precedenza. Arriviamo al Family Mart, dove compro del caffelatte e pancarrè ai fagioli rossi: il titolo di uno dei capitoli del mio ultimo romanzo, quello in cui i due protagonisti si svegliano per l’ultima volta insieme. Ho ancora nel portafoglio lo scontrino, ormai completamente sbiadito.
Lo stradone periferico è vuoto e silenzioso. Nessun taxi in vista, e io rischio di non arrivare in tempo in albergo e quindi in aeroporto. Sarebbe stato fantastico.
- See that building... how many windows... いっぱい!!-
Tenta di sfoggiare il suo giapponese arrugginito, e ride.
Oh. È arrivato il momento dell’ultimo abbraccio. Il tassista si sporge dal finestrino: vuole vederci meglio mentre ci baciamo.
4 Maggio 2014. 08:50
Piove.
- I just arrive company, raining! It must because you leaving... -
4 Maggio 2019
Piove.
- Ho freddo. Ho bisogno di un abbraccio. -
- Certo. Sono 100€. -
- ... e un abbraccio piccolo, veloce? -
- 50€. Ma finisce subito. -
- Va bene. Prendo quello da 50€. E nel frattempo penso a quelli lunghi, così faccio finta di star bene. -
- Ok. Come vuoi. -
giovedì 2 maggio 2019
鶴橋 Korea Town (parte 4)
Natale 2015
- Sei arrivato in Italia? -
- Sì, sono appena arrivato... -
- Io rimango ad Osaka fino al 15 gennaio. Quando torni ad Osaka? -
- Oh, te ne vai in Corea? Ma poi... ritorni ad Osaka? -
- Non lo so ancora... -
- Ah... io spero di tornare il 10 gennaio, giorno più giorno meno... -
- Fammi sapere. Ci vediamo presto... ti aspetto. -
...
Da allora non ho più notizie di Hyesun.
- Sei arrivato in Italia? -
- Sì, sono appena arrivato... -
- Io rimango ad Osaka fino al 15 gennaio. Quando torni ad Osaka? -
- Oh, te ne vai in Corea? Ma poi... ritorni ad Osaka? -
- Non lo so ancora... -
- Ah... io spero di tornare il 10 gennaio, giorno più giorno meno... -
- Fammi sapere. Ci vediamo presto... ti aspetto. -
...
Da allora non ho più notizie di Hyesun.
" 大阪いつくるか? ''
鶴橋 Korea Town (parte 3)
- 혜선 ^^ hello! This is Vitto, the italian friend of Imu san!
日本ごはどう?日本ごでかけますか? -
- hi^^ 日本おもしろい -
Il pizzaiolo strafumato era il marito della sorella di Hyesun, Hemi, che gestiva una caffetteria, カフェ ハレ Cafe Hare, proprio sopra la pizzeria. Pochi giorni dopo il pizzaiolo si tagliò un dito e dovette chiudere il locale per parecchio tempo, e Hyesun si trasferì al primo piano ad aiutare la sorella.
Quando i clienti le chiedevano qualcosa in giapponese, lei ruotava gli occhi verso l’alto, sollevava gli zigomi imbarazzata, si congedava con un inchino e indietreggiava verso Hemi, già pronta a darle soccorso.
Quando si accorgeva che la stavo guardando, ricambiava gli occhi, due centesimi di secondo... poi li riabbassava, mordendosi il labbro e oscillando il capo in avanti, quasi a voler soffocare un sorriso.
Ormai, ogni mio pensiero era monopolizzato dalla Korea Town di Osaka: ogni azione della giornata era solo uno strumento per tornarle vicino. Nella Korea Town di Osaka.
mercoledì 1 maggio 2019
鶴橋 Korea Town (parte 2)
Hye Sun 혜선
Li chiamano colpi di fulmine. Quando la prima immagine di una persona ti scuoia il cuore. La volta che, nel 2017, provai a descrivere, ad esprimere in parole le sensazioni che mi aveva provocato il primo incontro con Hye Sun, ne venne fuori quest’ammasso confuso di parole:
Lezione di teologia.
Artemide (Ἄρτεμις), in antica Grecia, era ritenuta la dea della caccia, degli animali selvatici, del tiro con l'arco, della foresta e dei campi coltivati. Inoltre è anche la dea delle iniziazioni femminili, protettrice della verginità e della pudicizia. Nelle raffigurazioni statuarie la vediamo spesso con un rettangolo bianco di stoffa avvolto ad un corpo tonico, una mano salda sulle corna di un capriolo accanto a lei, e l’altra intenta a prendere una freccia dalla faretra legata dietro la schiena.
Che c’entra Hyesun con la dea Artemide? E soprattutto, chi è Hyesun?
Hyesun è l’unica donna che, da un anno e mezzo a questa parte, mi ha fatto perdere veramente la testa. Anzi, diciamo le cose come stanno: impazzire proprio. La prima volta che la vidi, il mio malsanissimo cervello associò la sua figura a quella della dea Artemide, appunto.
Non so perché, è difficile spiegare le pazzie del proprio inconscio. Ho sempre avuto un debole per questa dea, da quando ero al ginnasio a studiare i classici greci.
Comunque, credo sia per la figura slanciata e tonica del corpo di Hyesun, del seno proporzionato al suo stretto bacino e ai suoi 175 cm di altezza, e del viso liscio, chiaro e pudico, ma terribilmente affascinante.
La conobbi nel novembre del 2015, allora lavorava nella caffetteria-taverna della sorella Hemi. La prima volta andai con Imu dopo una delle nostre sessioni di studio di giapponese. E Hyesun era lì, in agguato, con il suo grembiule marrone su un jeans scuro attillato pronta a catturarmi. Fui subito investito da una sensazione di seta addosso... la sua pelle, liscissima. Il volto perfettamente ovale, invece, mi portò seri dubbi su un suo eventuale ricorso alla chirurgia estetica, così come il naso, drittissimo. Per quanto riguarda le labbra, in genere si notano se sono rifatte o no, e le sue sono sicuramente naturali, rosse e carnose come quelle della sorella. (...)
Come mi fu subito palese, era estremamente timida, insicura e introversa, forse anche per il fatto che non spiccicava una parola di giapponese. Allora infatti era da poco arrivata ad Osaka dalla sua città natale Yong In, venti minuti a sud di Seoul.
Per concludere, quel giorno, per la prima volta in vita mia, capii davvero quale fosse la mia massima ambizione: volevo diventare il suo schiavo.
Sì. Impazzii letteralmente appena la vidi. Non ricordo se, prima di quella volta, avevo già avuto un’esperienza simile; a parte, ovviamente, le mie celebri cotte adolescenziali: se tutti i 10~15 enni del mondo fossero come ero io, sulla terra ci sarebbe la stessa perenne tempesta che ruota attorno a Giove. Con Vivi infatti, nonostante abbia scritto un intero romanzo - traboccante di miele - sulla nostra avventurosa storia d’amore... non c’era stato nessun colpo di fulmine a far nascere il tutto.
Ma in ogni caso... tornando a quella sera di quel novembre del 2015: Hyesun uscì fuori dal ripostiglio della Taverna Hare, incontrò il mio sguardo e sconvolse per sempre il mio rapporto con la Corea. Ancora oggi, se incrocio la pelle liscia del viso di una coreana, il mio cervello bastardo lo sostituisce con quello di Hyesun.
Imu, sveglia più di una sveglia digitale, comprese subito che l’amnesia da cui fui improvvisamente colpito, che per qualche minuto mi portò a dimenticare come si parlasse, era causata dal profumo di arancia emanato dai lunghi capelli castani della cameriera coreana. Diretta come era solito agire, senza pensarci troppo si prese tutta la sua confidenza, parlandoci a lungo senza che io capissi niente, dato che non conosco il coreano. Morale della favola: riuscii a farci scambiare due parole, con traduzione istantanea annessa, ed anche e soprattutto il contatto di chat Kakao Talk.
- Ma come hai fatto? Che le hai detto? -
- Ha detto che fra un po’ inizia a frequentare la scuola di giapponese e che tu puoi darle una mano. Semplice. -
- Ma... non è più grande di me? -
- Ha 31 anni, 3 in più di te. Non c’è nessuna differenza. Provaci! -
- Imu san ti amo! -
Li chiamano colpi di fulmine. Quando la prima immagine di una persona ti scuoia il cuore. La volta che, nel 2017, provai a descrivere, ad esprimere in parole le sensazioni che mi aveva provocato il primo incontro con Hye Sun, ne venne fuori quest’ammasso confuso di parole:
Lezione di teologia.
Artemide (Ἄρτεμις), in antica Grecia, era ritenuta la dea della caccia, degli animali selvatici, del tiro con l'arco, della foresta e dei campi coltivati. Inoltre è anche la dea delle iniziazioni femminili, protettrice della verginità e della pudicizia. Nelle raffigurazioni statuarie la vediamo spesso con un rettangolo bianco di stoffa avvolto ad un corpo tonico, una mano salda sulle corna di un capriolo accanto a lei, e l’altra intenta a prendere una freccia dalla faretra legata dietro la schiena.
Che c’entra Hyesun con la dea Artemide? E soprattutto, chi è Hyesun?
Hyesun è l’unica donna che, da un anno e mezzo a questa parte, mi ha fatto perdere veramente la testa. Anzi, diciamo le cose come stanno: impazzire proprio. La prima volta che la vidi, il mio malsanissimo cervello associò la sua figura a quella della dea Artemide, appunto.
Non so perché, è difficile spiegare le pazzie del proprio inconscio. Ho sempre avuto un debole per questa dea, da quando ero al ginnasio a studiare i classici greci.
Comunque, credo sia per la figura slanciata e tonica del corpo di Hyesun, del seno proporzionato al suo stretto bacino e ai suoi 175 cm di altezza, e del viso liscio, chiaro e pudico, ma terribilmente affascinante.
La conobbi nel novembre del 2015, allora lavorava nella caffetteria-taverna della sorella Hemi. La prima volta andai con Imu dopo una delle nostre sessioni di studio di giapponese. E Hyesun era lì, in agguato, con il suo grembiule marrone su un jeans scuro attillato pronta a catturarmi. Fui subito investito da una sensazione di seta addosso... la sua pelle, liscissima. Il volto perfettamente ovale, invece, mi portò seri dubbi su un suo eventuale ricorso alla chirurgia estetica, così come il naso, drittissimo. Per quanto riguarda le labbra, in genere si notano se sono rifatte o no, e le sue sono sicuramente naturali, rosse e carnose come quelle della sorella. (...)
Come mi fu subito palese, era estremamente timida, insicura e introversa, forse anche per il fatto che non spiccicava una parola di giapponese. Allora infatti era da poco arrivata ad Osaka dalla sua città natale Yong In, venti minuti a sud di Seoul.
Per concludere, quel giorno, per la prima volta in vita mia, capii davvero quale fosse la mia massima ambizione: volevo diventare il suo schiavo.
Sì. Impazzii letteralmente appena la vidi. Non ricordo se, prima di quella volta, avevo già avuto un’esperienza simile; a parte, ovviamente, le mie celebri cotte adolescenziali: se tutti i 10~15 enni del mondo fossero come ero io, sulla terra ci sarebbe la stessa perenne tempesta che ruota attorno a Giove. Con Vivi infatti, nonostante abbia scritto un intero romanzo - traboccante di miele - sulla nostra avventurosa storia d’amore... non c’era stato nessun colpo di fulmine a far nascere il tutto.
Ma in ogni caso... tornando a quella sera di quel novembre del 2015: Hyesun uscì fuori dal ripostiglio della Taverna Hare, incontrò il mio sguardo e sconvolse per sempre il mio rapporto con la Corea. Ancora oggi, se incrocio la pelle liscia del viso di una coreana, il mio cervello bastardo lo sostituisce con quello di Hyesun.
Imu, sveglia più di una sveglia digitale, comprese subito che l’amnesia da cui fui improvvisamente colpito, che per qualche minuto mi portò a dimenticare come si parlasse, era causata dal profumo di arancia emanato dai lunghi capelli castani della cameriera coreana. Diretta come era solito agire, senza pensarci troppo si prese tutta la sua confidenza, parlandoci a lungo senza che io capissi niente, dato che non conosco il coreano. Morale della favola: riuscii a farci scambiare due parole, con traduzione istantanea annessa, ed anche e soprattutto il contatto di chat Kakao Talk.
- Ma come hai fatto? Che le hai detto? -
- Ha detto che fra un po’ inizia a frequentare la scuola di giapponese e che tu puoi darle una mano. Semplice. -
- Ma... non è più grande di me? -
- Ha 31 anni, 3 in più di te. Non c’è nessuna differenza. Provaci! -
- Imu san ti amo! -
鶴橋 Korea Town
Oggi è il primo maggio, e avrei voluto, o meglio, dovuto parlare di un altro primo importante. Ma ieri sera ho ricevuto un messaggio inaspettato, che mi ha rigettato in un passato nostalgico... che tuttavia, al contrario di questo passato, è ancora vivo e ha caratteri sicuramente meno tristi e malinconici.
Fin da subito, dalla prima volta che, per caso, ci inciampai insieme a Yokawa - estate 2015 ormai - fui attratto da questo quartiere. Attratto come lo si è da qualcosa di nuovo ed esotico: un nero aitante in Mongolia, che entra in discoteca a serata inoltrata.
Fin da subito, dalla prima volta che, per caso, ci inciampai insieme a Yokawa - estate 2015 ormai - fui attratto da questo quartiere. Attratto come lo si è da qualcosa di nuovo ed esotico: un nero aitante in Mongolia, che entra in discoteca a serata inoltrata.
Dopo scuola, ormai routine, invece di dirigermi ad Imazato, stazione metro vicina alla mia (ex) casa, anticipavo la discesa in Tsuruhashi e mi immergevo fino alle sopracciglia nella Korea Town di Osaka, con l’unico scopo di perdermi nel labirinto del suo stretto mercato coperto. Un giorno il pretesto diventava una vaschetta di kimchi; un altro giorno quella di jeon; o ancora, ma solo quando volevo premiarmi, una bottiglia di makgeolli...
Finché l’attrazione non si trasformò in amore.
Novembre 2015
Dopo il solito giretto coreano, mi rimisi sui binari che portavano a casa e tornai sul viale Sennichimae. Non distante dalla stazione metro di Tsuruhashi, incrociai una micro bottega della pizza, nel cui interno solitudinavano un forno a legna in cemento, due tavolini in pietra lignea, pareti gialle e un pizzaiolo giapponese dall’aspetto strafumato. Mi incuriosì, ma non ebbi il coraggio di entrare. Per questo, il giorno dopo, proposi ad Imu, la mia fedele e caritatevole compagna di classe coreana, di farci un giro “un giorno di questi”.
“Andiamoci oggi dopo scuola!”
Quante soddisfazioni mi dava questa ragazza.
Novembre 2015
Dopo il solito giretto coreano, mi rimisi sui binari che portavano a casa e tornai sul viale Sennichimae. Non distante dalla stazione metro di Tsuruhashi, incrociai una micro bottega della pizza, nel cui interno solitudinavano un forno a legna in cemento, due tavolini in pietra lignea, pareti gialle e un pizzaiolo giapponese dall’aspetto strafumato. Mi incuriosì, ma non ebbi il coraggio di entrare. Per questo, il giorno dopo, proposi ad Imu, la mia fedele e caritatevole compagna di classe coreana, di farci un giro “un giorno di questi”.
“Andiamoci oggi dopo scuola!”
Quante soddisfazioni mi dava questa ragazza.
Dopo un’intensa sessione di studio dentro uno pseudo “Gran Caffè Italia” in Namba Park, la metro Sennichimae Line ci prese entrambi amorevolmente in grembo: rallentò solo in corrispondenza delle stazioni di Nippombashi e Tanimachi Kyū-chōme, prima di consegnarci alle cure dei fumi perenni dei barbecue coreani di Tsuruhashi. I ristoranti e le trattorie coreane erano nel labirinto di cemento del mercato coperto, ma noi virammo e uscimmo allo scoperto sullo stradone rumoroso, diretti verso la “タヴェルナ ハレ”, Taverna Hare, così il nome della pizzeria. Dopo il bancomat del MUFG Bank c’era un rivenditore di make up coreani, oltre il quale solo un vicolo asfissiante ci separava dall’obiettivo.
- Konnichiwa -
- Irasshaimase dōzo - Ci rispose, accogliendoci, il pizzaiolo strafumato.
- Konnichiwa -
- Irasshaimase dōzo - Ci rispose, accogliendoci, il pizzaiolo strafumato.
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